La squadra di Bergamo ci ha segnalato questa splendida iniziativa: scopriamo chi sono i B.Wolves con questa intervista a Noemi Carminati.
P: Come è nata la squadra?
N: Tutto è partito quasi per caso. Io e Vanessa Barzasi, entrambe giocatrici delle Holy Cows, per motivi di lavoro avevamo a che fare con alcuni adolescenti accolti in una comunità per minori. Ragazzi in tutto e per tutto uguali ai loro coetanei ma che vivono la loro quotidianità lontano dalla famiglia d’origine. Per noi due è stato naturale far conoscere l’ultimate ai ragazzi e trasmettere loro la passione per il disco di plastica. In breve in loro è nato il bisogno di impegnarsi un po’ di più: ci chiedevano di insegnargli lanci più complessi, di fare delle partitelle…così abbiamo iniziato ad impostare degli allenamenti veri e propri. Quasi per caso, tramite una serie di passaparola, si sono aggiunti altri due minori stranieri non accompagnati e tre giovani richiedenti asilo politico. Senza accorgercene avevamo creato una squadra! L’età andava dai 15 ai 25 anni, maschi e femmine.
P: Come è nato il nome della squadra?
N: Dopo otto lezioni abbiamo scelto il nome B.Wolves e ci siamo presentati al Torneo Celabona. Per il nome ci piaceva identificarci nel lupo perché è un animale temuto ed è il cattivo delle favole mentre nella realtà è un animale sociale intelligente, che “fa branco” ed è inclusivo. E poi la B. sta sia per “Bergamo” che, all’inglese, per “to be”, cioè “essere, diventare lupi”.
P: Com’è andata questa prima esperienza?
N: Non lo nascondiamo, al torneo la tensione era alle stelle! I ragazzi erano ansiosi di giocare, di divertirsi ma anche di mettersi alla prova. Avevano paura di fare brutta figura e di non essere all’altezza. Ci siamo lanciati in questa esperienza bellissima che ha dato grandi soddisfazioni sia a noi allenatrici che, soprattutto, ai nostri giocatori. Lo splendido clima del torneo e l’accoglienza delle altre squadre hanno consentito ai nostri di sentirsi sempre a loro agio. Tutti ci hanno fatto i complimenti sia per l’iniziativa che per l’ottimo Spirito. Inizialmente avevamo deciso di fare solo un ciclo di otto lezioni di avviamento e concludere col torneo. Ma l’entusiasmo era alto, i risultati incoraggianti…e non siamo riuscite a smettere, riproponendo altri due cicli di lezioni. Nel frattempo qualcuno ha abbandonato la squadra, e altri, non solo provenienti da contesti “sociali”, si sono aggiunti.
Ora siamo una squadra mixed, con ragazzi che provengono dalle valli bergamasche, dall’est Europa, dal Sud America e dall’Africa. Alcuni vivono con mamma e papà, altri con coetanei in una grande casa e altri ancora sono lontanissimi dalle loro famiglie. Ma siamo riusciti a creare un bel branco, una squadra. Ci sono stati altri eventi, tornei e amichevoli.
P: Cosa ha reso possibile il successo dell’iniziativa?
N: Sicuramente, al di là dell’interesse per lo sport in sé, ciò che ha reso efficace questa esperienza sono le caratteristiche peculiari dell’ultimate che, a livello educativo, riscuote apprezzamenti da parte di educatori e genitori, incuriosendo i giovani. L’unicità di uno sport giocato tra maschi e femmine insieme e alla pari, l’assenza di un arbitro e il rispetto dell’avversario sono state le fondamenta dei nostri interventi sportivi e, almeno ci sembra, è ciò che più ha stimolato i nostri giocatori. Ma non solo… siamo capitati sotto l’occhio dell’Università di Bergamo e durante gli allenamenti una tirocinante di Scienze dell’Educazione ci ha seguiti per approfondire il tema legato a sport e inclusione sociale.